IL CONSIGLIO DI STATO ACCOGLIE L’APPELLO ED IN RIFORMA DELLA SENTENZA DEL TAR LAZIO ANNULLA L’ESCLUSIONE DAL CONCORSO RISERVATO DI CUI AL DDG N°85/2018 A FAVORE DEI RICORRENTI IN POSSESSO DEL TITOLO ABILITANTE CONSEGUITO IN ROMANIA.

Di poco fa l’accoglimento della Sesta Sezione del Consiglio di Stato di poco fa con sentenza n.793 del 26 gennaio 2021, in merito all’appello patrocinato dall’Avv. Maurizio Danza del Foro di Roma, a favore degli abilitati in Romania per la riforma della sentenza breve del TAR Lazio – Roma (Sezione Terza BIS) n. 14350/2019, resa tra le parti, concernente l’esclusione dalla graduatoria di un concorso per il reclutamento di personale docente e che condanna il MIUR

I ricorrenti, in possesso di titolo abilitante (“Programului de studii psihopedagogice, Nivelul I e Nivelul II”) conseguito in Romania, sono stati esclusi dal concorso per il reclutamento di personale docente bandito dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) con D.D.G. 1/2/2018, n. 85, sul presupposto che l’abilitazione dai medesimi posseduta non possedesse i requisiti giuridici per il riconoscimento della qualifica professionale di docente ai sensi della Direttiva 2005/36/CE e successive modifiche, come stabilito con nota del medesimo ministero prot. n. 5636 del 2/4/2019.

Ritenendo tale ultima nota e i provvedimenti individuali di esclusione dalla selezione illegittimi, i ricorrenti hanno impugnati con ricorso al T.A.R. Lazio Roma, il quale, con sentenza 13/12/2019, n. 14350, lo ha respinto, motivando la reiezione sul presupposto che gli istanti non avessero impugnato i singoli provvedimenti di rigetto della richiesta di riconoscimento del titolo conseguito in Romania, con la conseguenza di non poter far valere i vizi dei detti provvedimenti in sede di impugnazione degli atti di esclusione dalla procedura concorsuale, basati sul predetto disconoscimento del titolo abilitante.

Nel merito ha, comunque, ritenuto il ricorso infondato in quanto il possesso del certificato attestante il conseguimento della formazione psicopedagogica costituisce condizione necessaria, ma non sufficiente al fine di ottenere la qualifica professionale di docente in Romania.

Avverso la sentenza hanno proposto appello i suddetti ricorrenti di primo grado. Le censure sono fondate. E invero, l’affermazione con cui il giudice di prime cure ha ritenuto che non fossero stati impugnati i singoli provvedimenti individuali aventi a oggetto la negazione del valore abilitante del titolo posseduto dagli appellanti, risulta smentita dagli atti depositati in giudizio, da cui emerge che tutti gli odierni appellanti, con separati ricorsi, avevano espressamente impugnato i detti provvedimenti.Tutti i menzionati giudizi si sono definitivamente conclusi con pronunce favorevoli agli odierni appellanti  .

Con tali pronunce è stata appurata l’illegittimità del mancato riconoscimento del titolo di abilitazione posseduto dagli appellanti, come da precedenti di Sezione.

Quest’ultima, in particolare, con sentenza 10/7/2020, n. 4422, sul presupposto che il richiesto riconoscimento dell’operatività in Italia dei titoli abilitanti come quelli acquisiti dagli odierni appellanti è stato negato dal Ministero sulla scorta della valutazione delle autorità rumene, le quali disconoscono le qualifiche professionali per coloro che non hanno conseguito il titolo di studio in Romania, ha così motivato l’accoglimento dell’appello.

L’<<argomento posto a base del contestato diniego si pone in contrasto con i principi e le norme di origine sovranazionale, i quali impongono di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che “la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (cfr. ad es. Cge n. 675 del 2018).

Una volta acquisita la documentazione che attesta il possesso del certificato conseguito in Romania, non può negarsi il riconoscimento dell’operatività in Italia, altro paese Ue, per il mancato riconoscimento del titolo di studio – laurea – conseguito in Italia.

L’eventuale errore delle autorità rumene sul punto non può costituire ragione e vincolo per la decisione amministrativa italiana; ciò, in particolare, nel caso di specie, laddove il titolo di studio reputato insufficiente dalle Autorità di altro Stato membro è la laurea conseguita presso una università italiana.

3.3 Piuttosto, le Autorità nazionali sono chiamate a valutare la congruità delle formazioni conseguite all’estero, nei termini chiariti dalla giurisprudenza europea e sopra richiamati.

A fronte della chiarezza dei principi e delle norme europee rilevanti in materia, non occorre sottoporre la questione alla Corte di giustizia in termini di rinvio pregiudiziale.

3.4 In proposito, va ricordato il principio a mente del quale l’articolo 45 TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso osta a che la p.a., quando esamina una domanda di partecipazione proposta da un cittadino di tale Stato membro, subordini tale partecipazione al possesso dei diplomi richiesti dalla normativa di detto Stato membro o al riconoscimento dell’equipollenza accademica di un diploma di master rilasciato dall’università di un altro Stato membro, senza prendere in considerazione l’insieme dei diplomi, certificati e altri titoli nonché l’esperienza professionale pertinente dell’interessato, effettuando un confronto tra le qualifiche professionali attestate da questi ultimi e quelle richieste da detta normativa (cfr. ad es. Corte giustizia UE sez. II, 06/10/2015, n.298).

In tale ottica, le norme della direttiva 2005/36/CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, devono essere interpretate nel senso che impongono ad uno Stato membro di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione previsti da tale direttiva e rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che “la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (cfr. più di recente Corte giustizia UE, sez. III, 06/12/2018, n. 675).

In dettaglio, per ciò che rileva nel caso di specie, va altresì richiamato l’art. 13 della direttiva 2013/55/Ue, che ha modificato la predetta direttiva 2005/36, rubricato condizioni di riconoscimento: “1. Se, in uno Stato membro ospitante, l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio sono subordinati al possesso di determinate qualifiche professionali, l’autorità competente di tale Stato membro permette l’accesso alla professione e ne consente l’esercizio, alle stesse condizioni previste per i suoi cittadini, ai richiedenti in possesso dell’attestato di competenza o del titolo di formazione di cui all’articolo 11, prescritto da un altro Stato membro per accedere alla stessa professione ed esercitarla sul suo territorio. Gli attestati di competenza o i titoli di formazione sono rilasciati da un’autorità competente di uno Stato membro, designata nel rispetto delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di detto Stato membro”. A propria volta il successivo comma 3 statuisce: “3. Lo Stato membro ospitante accetta il livello attestato ai sensi dell’articolo 11 dallo Stato membro di origine nonché il certificato mediante il quale lo Stato membro di origine attesta che la formazione e l’istruzione regolamentata o la formazione professionale con una struttura particolare di cui all’articolo 11, lettera c), punto ii), è di livello equivalente a quello previsto all’articolo 11, lettera c), punto i).”

3.5 Pertanto, a fronte della sussistenza in capo all’odierno appellante sia del titolo di studio richiesto, la laurea conseguita in Italia (ex sé rilevante, senza necessità di mutuo riconoscimento reciproco), sia della qualificazione abilitante all’insegnamento, conseguita presso un paese europeo, non sussistono i presupposti per il contestato diniego.

A quest’ultimo proposito, lungi dal poter valorizzare l’erronea interpretazione delle autorità rumene, la p.a. odierna appellata è chiamata unicamente alla valutazione indicata dalla giurisprudenza appena richiamata, cioè alla verifica che, per il rilascio del titolo di formazione ottenuto in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno>> (in termini anche Cons. Stato, Sez. VI, 2/3/2020, n. 1521; 20/4/2020, n. 2495; 8/7/2020, n. 4380; 24/8/2020, n. 5175).

Dalle illustrate considerazioni discende l’illegittimità derivata della disposta esclusione dal concorso, in quanto basata proprio sulla disconosciuta idoneità abilitante del titolo posseduto dagli odierni appellanti e la conseguente erroneità dell’appellata sentenza fondata sull’erroneo presupposto della mancata impugnazione degli atti individuali recanti il detto disconoscimento.

L’appello va, quindi, accolto. P.Q.M.  Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della gravata sentenza accoglie il ricorso di primo grado con conseguente annullamento dei provvedimenti col medesimo impugnati.